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Considerazioni personali sull’Aiki di Marco Marini

Considerazioni (personali) sull’Aiki

di Marco Marini

Cosa rappresenta l’Aiki?

Cosa significa essere sulla via dell’Aiki (quindi praticare l’Aikido)?

Perché per Ueshiba l’Aiki era così importante al punto da identificare con esso la sua disciplina?

Esistono varie forme di Aiki?

Cercherò di esprimere il mio punto di vista su questi interrogativi.

Perché?

Perché penso che chiunque si accinga a praticare Aikido dovrebbe averne chiaro il principio cardine, quello con cui la stessa disciplina si identifica.

Naturalmente sarà il “mio” punto di vista, senza nessuna pretesa di verità.

Ma credo sia importante – un dovere, oserei dire – per un insegnante, dichiarare le proprie convinzioni, la sua visione dell’arte e come pensa di trasmetterla.

E’ inutile far finta che tutti si faccia comunque Aikido.

Sì, certo, facciamo tutti Aikido, ma ognuno con la propria visione, della disciplina come del modo di trasmetterla.

Quindi credo non sia sufficiente dire: «faccio Aikido e seguo quel Maestro piuttosto che l’altro». Trovo questo atteggiamento riduttivo e parziale.

Il fatto che  io segua gli insegnamenti di un grande tecnico non implica necessariamente che io lo sia né che io abbia capito le stesse cose che ha capito lui.  Oltretutto un insegnante/praticante, ad un certo punto del suo percorso, ha secondo me il dovere di costruire il suo Aikido e cercare di trasmetterlo.

Solo così quest’arte potrà rimanere viva e vitale.

Fatta questa doverosa premessa, vediamo di rispondere alla prima domanda.

Il principio “Aiki”  (ai = armonia, ki = spirito/energia vitale) potrebbe tradursi in: “armonizzare le energie/spiriti”, ma ci farebbe capire ben poco da un punto di vista pratico.

Secondo me l’Aiki si stabilisce, per prima cosa, tra due o più persone (estendendo se si vuole anche all’ambiente circostante e/o a noi stessi) già nel momento in cui tali persone entrano in contatto .

Dal primo contatto visivo, o comunque percettivo, si deve stabilire una relazione indissolubile, ma priva di sentimento (aspettativa, rancore, aggressività, etc).

Stabilita la relazione iniziale inizia il lavoro sulla dinamica del movimento tra il nostro corpo, quello dell’altro, il movimento d’attacco, l’evasione, lo sbilanciamento o la rottura della struttura avversaria ed infine la tecnica che noi applichiamo.

La qualità del rapporto tra tutte queste cose e la capacità di gestirle in armonia ed efficacia, padroneggiando o meno la situazione, fanno la differenza tra una tecnica Aiki e una tecnica non Aiki, ancorché efficace .

In sostanza bisogna essere in grado di ricevere e seguire il movimento, lo stimolo che ci arriva in modo armonico, attraverso una ricerca continua di sbilanciamento, fino a rompere/destabilizzare la struttura avversaria (caduta o leva finalizzante).

Questo idealmente, ma nella pratica molto spesso ci ritroveremo a subire l’iniziativa o a doverla prendere.

Per questo si devono allenare tutte le possibili situazioni e tutti i possibili tempi: ne consegue la necessità di studiare i kaeshi waza (contro tecniche), i sutemi (tecniche di sacrificio), gli henka waza (concatenamenti di tecnica), gli ushiro waza (attacco da dietro), etc.

E’ altrettanto necessario allenare gli atemi, le schivate e il kiai , che possono contribuire efficacemente nel ritrovare quel controllo e sbilanciamento di cui abbiamo bisogno per essere Aiki.

Tutto va sempre finalizzato alla percezione, controllo e neutralizzazione del partner per risolvere il conflitto.

Stanley Pranin, in una sua pubblicazione sulla visione dell’Aiki da parte di Takeda Tokimune, ha scritto:

«Aiki è tirare quando vieni spinto e spingere quando vieni tirato. E’ lo spirito della lentezza e della velocità, dell’armonizzare il tuo movimento con il ki del tuo avversario. Il suo opposto è il kiai, cioè spingere fino al limite, mentre l’aiki è non resistere mai»

Quindi secondo me:

Il principio Aiki è oltre la tecnica, ma ne fa uso;

oltre il tempo, perché è lui a gestirlo;

oltre la forza, perché non ne ha bisogno (sempre relativamente parlando).

Un traguardo difficile se non impossibile da  raggiungere, al quale dovremmo tendere attraverso un allenamento sempre più rigoroso.
Da qui la risposta al secondo quesito: praticare Aikido cosa significa?

Significa allenarsi ad apprendere e praticare il maggior numero di tecniche d’ogni arte marziale (ma anche SDC) partendo, per cominciare, da una base di jujitsu, ma allargando il campo delle nostre conoscenze ad altre AM, consapevoli di essere su di un percorso psico-fisico con caratteristiche marziali, aperto e continuamente implementabile.

Significa non avere un punto d’arrivo. E’ in base a ciò che affermo, ma ribadisco secondo me, che non possono esistere Maestri d’Aikido, ma solo praticanti più o meno avanzati (nessuno si può dire maestro d’Aikido fino a quando non sia in grado di contrastare, con l’Aiki, qualsiasi conflitto). Vi prego di considerare questa affermazione riferita al “Maestro” come persona che padroneggia la via e non come qualifica federale alla quale tutti possiamo aspirare per evidenti ragioni pratiche di diffusione della disciplina. In questo caso “maestro” significa solo più avanti di altri sulla via (educatore).

Ma torniamo all’Aikido.

Come avrete notato ho chiamato l’Aikido “disciplina psico-fisica” e non AM, per il semplice fatto che le AM sono per l’annientamento, la morte o quantomeno la vittoria sull’avversario. Ma questo sarebbe contrario ad uno spirito di mutua crescita ed accettazione: non esisterebbe armonia nella distruzione dell’altro. Per questo ci sono discipline ben più efficaci rapide e performanti.

Il valore fondante è l’accettazione dell’altro e del suo portato (bello o brutto che sia) attraverso un confronto non competitivo.

Quindi si apprende a lavorare con chiunque, che sia bello o brutto, pulito o sporco, simpatico o antipatico, lasciandogli la libertà di sbagliare e anzi cercando di favorire la sua reazione più istintiva.

Non ci sono rituali che esulino dalle normali regole di convivenza civile.

Il reishiki deve essere qualcosa che si sente, si apprende e si comprende per emulazione ed accettazione, non per imposizione.

Si esclude la competizione non perché non sia valida, ma perché comporterebbe la necessaria esclusione di alcuni. Un bravo insegnante non deve astenersi, ma ritengo lui sia abbastanza avanti sulla via per poterselo permettere.

L’aggressività, come la violenza e qualsiasi altro comportamento e pulsione umana, è un valore e va considerato come tale senza moralismi e falsità, ma l’aikido dovrebbe insegnarci a gestirla e conoscerla. Solo chi riconosce la propria aggressività e i propri difetti può comprendere e accettare quelli dell’altro senza giudizi.

In caso contrario si è ipocriti, ma soprattutto non si è Aiki.

Un insegnante di Aikido, così come un praticante, deve saper anche cucinare e stirare, non solo eseguire il tai sabaki o un iriminage!

Il motivo è sempre lo stesso: se non si “desidera” conoscere “tutto” ci si priva di alcune occasioni di crescita e si è solo parzialmente sulla via.
Faccio in proposito un esempio banale.

Se non si è mai gestita una casa con figli completamente da solo almeno per qualche giorno, come si pensa di comprendere e gestire una relazione affettiva con chi lo fa normalmente?

Così come, se non si pratica e ci si confronta con praticanti d’altre AM, come si pensa di essere in grado di trovare quella relazione, quella armonia, con qualcosa che non si conosce e con la quale non si è mai entrati in contatto?

Dove non c’è conoscenza regna lo scontro. E lo scontro non è Aiki.

L’aikido non è solamente tecnica: l’Aiki dovrebbe essere qualcosa che ci permette di essere un passo avanti in qualsiasi relazione.

E’ per questo affermo che non ci sono Maestri, ma solo persone che, col proprio esempio, possono stimolarne altre nella ricerca.

A questo punto si comprende perché Ueshiba abbia chiamato così la sua Arte.

Attraverso il confronto, lo scontro, l’allenamento e sicuramente anche una particolare visione religiosa è arrivato ad una tale maestria nel gestire tutto questo rimanendo Aiki.

Ma non ci ha lasciato un mero numero di waza (tecniche), bensì una testimonianza di lavoro e di ricerca. Ha trasformato un principio applicato al combattimento, al conflitto (Aiki Ju Jutsu), elevandolo a qualcosa di più adatto ai nostri tempi e alle sue convinzioni religiose, sostanzialmente negando l’esistenza stessa del conflitto ed esaltando invece l’accettazione dell’altro, nella ricerca di un armonia universale.

Naturalmente un insegnante ha il dovere di trasmettere al neofita un percorso didattico chiaro e ben riconoscibile. Non si può fin dai primi tempi dare questa idea d’Aikido “aperto”: sarebbe onestamente fuorviante e deleterio.

E’ necessario fornire delle basi tecniche ben definite e riconoscibili (ikkyo, nikkyo, etc) dalle quali un domani affrancarsi. Ma non oggi, non subito.

Fondamentale è una corretta percezione dello spazio e del corpo attraverso un allenamento guidato e didatticamente valido, basato su principi chiari e sperimentabili.

Reattività, forza, continuità nel movimento, salvaguardia del proprio corpo e di quello del partner sono alcune tra le qualità migliorabili.

Come è necessario impostare un corretto atteggiamento marziale, senza far diventare il neofita un burattino che si muova come gli viene detto.

Ogni persona possiede delle qualità personali: renderemmo un cattivo servizio se le sostituissimo con altre stereotipate.

Secondo me un bravo insegnante dovrebbe esser capace di migliorare e valorizzare il portato di uno studente, aggiungendo qualità e capacità alla sua esperienza tecnica e fisica, per poi, un domani, intervenire ancora togliendo e sfrondando tutto quello di cui non c’è più bisogno.

«L’Aikido permette ad ogni individuo di seguire un sentiero adatto a sé, rendendo ogni essere umano capace di conseguire l’armonia dell’universo»

Queste parole di Ueshiba credo rappresentino bene il concetto Aiki e unite alla sua testimonianza di pratica ci offrono una metodologia d’allenamento.

Praticare, allenarsi, dare e prendere –  mazzate, per raggiungere un traguardo (Aiki), con l’obiettivo, che è anche una ricompensa, di vivere e far vivere meglio noi e gli altri in questo mondo.

Con questi presupposti mi accingo a rispondere all’ultima domanda: se esistono varie forme d’Aiki.

Sì, personalmente penso che ne esistano almeno due.

Una più “esoterica” e spirituale, quella di Ueshiba Morihei.

Un’altra più tecnica, quella di Takeda Tokimune.

Praticamente si differenziano solo nella finalità.

Nell’AikiJuJutsu, l’Aiki viene usato utilizzando la dinamica del movimento, lo sbilanciamento e la rottura della struttura avversaria, per raggiungere la vittoria nel combattimento,.

Nell’Aikido, l’Aiki viene usato utilizzando la dinamica del movimento, lo sbilanciamento e la rottura della struttura avversaria, ma per ristabilire un armonia nella consapevolezza che non esiste un avversario da combattere.

Chiudo, citando sempre il Fondatore, con un motto che secondo me identifica bene la disciplina Aikido:

«Masakatsu Agatsu»[1]

La vera vittoria è la vittoria su noi stessi.

 

[1] Il motto completo è in realtà «Masakatsu Agatsu Katsu Hayabi», ovvero «La vera vittoria è la vittoria su noi stessi, vittoria qui e adesso». Lo stesso Ueshiba, d’altronde, utilizzava spesso la forma abbreviata, sia nelle calligrafie sia negli scritti.

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